Gli Anfibi
Con la primavera e l’arrivo delle prime piogge, oltre allo sciogliersi della neve che va a riempire i laghetti (naturali o artificiali che siano) di media montagna, si iniziano a vedere in grandi quantità rane e rospi. Abituati a pensare più agli uccelli ed ai mammiferi che sono presenti in montagna, spesso non diamo il giusto valore alle differenti specie di anfibi che caratterizzano il territorio alpino e prealpino Veneto e dell’arco alpino più in generale, ricco di particolarità uniche.
Gli anfibi sono, dal punto di vista sistematico, una classe di animali vertebrati, ed in particolare fra questi sono i primi che hanno colonizzato la terra ferma. Non è ancora ben chiara l’origine degli anfibi, ma la maggior parte dei paleontologi sembrano concordare con il fatto che essi derivano dai Dipnoi, un ordine di pesci ancora oggi vivente e che presentano un ‘primitivo’ polmone che gli permette di respirare anche fuori dall’acqua. Da questi pesci si sarebbero differenziati, nel periodo Devoniano (circa 400 milioni di anni fa) i primi anfibi. In ogni caso per gli anfibi il legame con l’acqua rimane ancora forte, come ben noto a tutti, in quanto nella maggior parte dei casi necessitano proprio di questo elemento per svolgere una parte del loro ciclo vitale. Anche nei casi più evoluti in cui alcuni anfibi non hanno bisogno dell’acqua per la riproduzione, necessitano comunque di ambienti umidi per poter sopravvivere. L’etimologia del nome anfibio ricorda questa loro particolarità: anfibio deriva infatti dalla fusione dei termini amphi: da ambo le parti e bios: vita, quindi di animale che vive in entrambi le parti (terra ed acqua) o anche di animale dalla doppia vita (in terra ed in acqua). Questa ultimo significato sta bene anche se si considera il fatto che la maggior parte delle specie presentano una fase larvale molto differente da quella adulta, che viene raggiunta dopo un processo di metamorfosi. Il legame con l’acqua rimane necessario anche a causa della loro pelle, che è si ricoperta da uno strato di cheratina per limitare la disidratazione ma che rimane comunque permeabile in entrambi i sensi (a differenza dei rettili in cui la pelle è ricoperta da squame): l’importanza della permeabilità della pelle sta nel fatto che attraverso ad essa gli anfibi contribuiscono alla respirazione polmonare (una sorta di ‘secondo polmone‘). Infine da ricordare che, come i rettili, sono animali definiti a sangue freddo o eterotermi: la temperatura corporea rispecchia quella dell’ambiente esterno in cui vivono; è per tale motivo che molti anfibi presenti nelle regioni alpine vanno in ibernazione.
La classe degli anfibi, che comprende circa 7300 specie a livello mondiale, raggruppa tre differenti ordini: Gymnophiona, noti anche come Apoda, in quanto priva di arti, e che comprende circa 200 specie non presenti in Europa, gli Anura, che sono gli anfibi senza coda, come rane, rospi e raganellle, che comprende oltre 6400 specie, e gli Urodela o Caudata, dotati di cosa, e che comprende quasi 700 specie, fra cui salamandre e tritoni.
Ma perché parlare di anfibi? Vedremo in altri appositi articoli le peculiarità di alcune specie presenti in particolar modo in Veneto, ma l’importanza di tale classe è che forse risulta essere quella meno conosciuta fra i vertebrati viventi e quella più a rischio di estinzione. Infatti gli anfibi hanno avuto una particolare attenzione dal mondo scientifico (e non solo) nell’arco dell’ultimo periodo proprio a fronte di vere estinzioni di massa registrate negli ultimi decenni. Secondo la IUCN (Unione Mondiale per la Conservazione della Natura, www.iucn.org) nel 2012 quasi 2000 specie di anfibi, che rappresentano il 31% del totale mondiale (6400), sono a rischio di estinzione e sarebbero già 34 quelle considerate estinte nell’ultimo periodo. Ed in Italia non ce la passiamo meglio, anzi, ben il 36% delle 47 specie di anfibi presenti sono a rischio. Considerando che in Italia sono presenti circa la metà degli anfibi europei, e che vi sono almeno un genere ed alcune specie e sottospecie di anfibi endemici o subendemici (cioè presenti solo in Italia o solo in un ristretto territorio italiano) si capisce l’importanza della conservazione di questi animali.
Ma cosa minaccia oggi la presenza degli anfibi? Come primo fattore vi è sicuramente la diminuzione di habitat sia in termini quantitativi che qualitativi. Come nel caso di molte piante legate alle aree umide interne o alle torbiere, anche per gli anfibi uno dei problemi principali è la forte diminuzione di areale, dovuto soprattutto a cause umane (prosciugamento aree umide/paludose, captazione delle acque a scopo agricolo, ecc..). A questo si aggiunge l’inquinamento, che rende non idonei sia territori acquatici che terrestri (ricordiamo che la maggior parte degli anfibi ha una duplice vita per quanto riguarda gli ambienti, e necessitano di aree idonee sia acquatiche che terrestri), e la presenza dell’uomo in termini di urbanizzazione e rete viaria che causa sia una frammentazione dell’habitat, in alcuni casi anche forte, fino a creare delle vere e proprie popolazioni isolate, sia una mortalità diretta causata dagli investimenti, che in alcuni periodi, come quello riproduttivo, possono portare ad alti tassi di mortalità (per questo in molte zone si sono costruiti degli ‘anfibiodotti‘ per permettere il passaggio sotterraneo delle strade agli individui che in primavera si recano nelle pozze per la riproduzione). In alcuni casi ci sono, come nel caso della salamandra di Aurora, problemi legati a tipo di selvicoltura attuata. Infine ricordiamo, purtroppo, i danni causati dall’immissione di specie alloctone (cioè non originarie del luogo) che comportano sia una predazione diretta sia portano malattie che possono causare alta mortalità negli anfibi autoctoni (originari del luogo). A questi processi causati dall’uomo si deve aggiungere anche una serie di processi naturali e climatici (periodi di siccità, cambiamenti naturali dell’habitat, ecc.) che agiscono negativamente sulla presenza degli anfibi.
Fra tutti vale la pena citare tre specie presenti in Veneto che attualmente risultano essere problematiche dal punto di vista conservazionistico: l’ululone del ventre giallo, la salamandra di Aurora (e con lei l’altra sottospecie salamandra del Pasubio) e il pelobate fosco italiano.